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Considerazioni sulla validità dei controlli effettuati nelle aziende bufaline per la verifica di animali illegalmente trattati con vaccino RB51
Nel valutare le metodologie di controllo utilizzate dagli Organi sanitari per svelare gli allevamenti bufalini, sani od infetti, trattati illegalmente con vaccino RB51 si esprimono le seguenti considerazioni:
- l’RB51 è un ceppo (vivo ed attenuato) di brucella vaccinale liscio proveniente per selezione da un ceppo vaccinale Buk 19 (ceppo rugoso).
- L’RB51 rispetto al Buk 19 è un prodotto immunizzante che non rende positivo l’animale trattato (bufalo o bovini), se non infetto, agli esami di SAL, SAR ed FDC (esami utili a svelare gli anticorpi anti-brucella abortus o melitensis per contatto massivo degli organismi infetti con i ceppi patogeni),
- Di contro l’RB51 è un valido strumento utile ad immunizzare gli animali sani contro i ceppi selvaggi (B. abortus e B. melitensis).
- L’RB51, se inoculato in animali infetti, tende a ridurre l’eliminazione di brucelle patogene ed a nascondere, entro certi limiti, la malattia nei soggetti con specifica infezione conclamata (con probabile annidamento delle brucelle). Con il ridursi della fase acuta malattia (brucellosi) si riducono con l’andar del tempo anche gli anticorpi specifici, rendendo i soggetti infetti (anche se il germe è spesse volte annidato) e non, nel nostro caso i bufali, non identificabili mediante le prove di laboratorio. Queste, infatti, ricercano nel sangue degli animali trattati con vaccino RB51, esclusivamente, anticorpi anti brucella patogena rugosa.
- In effetti l’RB51 ha la facoltà, essendo formato da ceppo batterico liscio, di determinare la formazione di anticorpi strutturalmente diversi rispetto alle B. brute o del vaccino ceppo B:19, ma, comunque, permette ugualmente ad esse di conferire al soggetto una solida immunità cellulare (cross reazione).
Alla luce delle citate considerazioni, per svelare i soggetti trattati con RB51 in allevamenti bufalini, si è pensato (forse su consiglio del Centro di referenza per le brucellosi) di utilizzare un test cutaneo (con antigene brucellare specifico, brucellina) per svelare l’immunità cellulare residua ugualmente presente sia in animali infetti che vaccinati (con Buk 19 o RB51).
In questo caso non è stata adeguatamente valutata la scarsa affidabilità di questo test che viene considerato (per questo fine) inadatto dalla comunità internazionale perché influenzato:
- a) dalla tipologia della specie animale da trattare (il bufalo con plica cutanea molto spessa e animale particolarmente sensibile all’inoculazione di qualsivoglia allergene),
- b) dai diversi stati fisici del soggetti trattati nei diversi periodi di produzione,
- c) dalla risposta crociata che si può avere con altri tipi di antigeni provenienti da altri ceppi batterici,
- d) da naturali immunizzazioni di numerosi animali di allevamenti posti in territori infetti che sono guariti dopo aver superato una piccola infezione brucellare. Infatti, i bufali dopo una specifica batteriemia non sempre si ammalano di brucellosi, rimanendo immunizzati (immunità cellulare) con reazione cronica sia nei riguardi del germe patogeno che dei ceppi vaccinali Buk 19 e RB51 (spessissimo questi animali, per lo più vitelli al disotto di un anno, di fronte all’insulto di poche brucelle patogene entrate nel circolo sanguigno, ma non annidate – batteriemia-, riescono brillantemente a superarlo ed a restare immuni). E’, infatti, la pratica di abbattimento che tende a selezionare soggetti divenuti resistenti perché, in territorio infetto, sono riusciti a superare l’infezione ed a rimanere per questo immunizzati (questa immunità è frequente ed elevata: si tratta di immunizzazione di tipo cellulare, quindi, svelabile con il test cutaneo alla brucellina). Ricordiamo che (diversamente da quella cellulare) l’immunità umorale è espressione comune sia dei germi patogeni (brucelle da strada) che dai relativi ceppi vaccinali (RB51 e Buk 19). I relativi anticorpi prodotti non cross reagenti tra loro (anticorpi anti RB51 non sono identificabili con gli esami utilizzati per le brucelle patogene e per le brucelle vaccinali B. 19) possono essere evidenziati separatamente attraverso gli esami sierologici di Sal, Sar e di FDC eseguiti con i collegati antigeni.
La presenza di un’alta o bassa immunità cellulare nell’allevamento bufalino di un territorio infetto, come quello della provincia di Caserta (con alta presenza di brucelle patogene libere disseminate nell’ambiente), non è da considerare sfavorevole, bensì elemento di garanzia per la resistenza all’infezione (memoria immunitaria). Diversamente, non ci sarebbe risanamento, perché i bufali, inesorabilmente, sprovvisti di resistenza, si reinfetterebbero di volta in volta.
Pertanto, non si può condividere l’iniziativa di utilizzare la brucellina per identificare gli allevamenti illegittimamente vaccinati, perché tale indagine non dà certezza di risultato, bensì, svela una immunità cellulare di indeterminabile origine che, se presente, non può che favorire il risanamento dell’allevamento bufalino. Diversamente, in alternativa al predetto controllo, converrebbe, per accelerare il raggiungimento dell’obiettivo del pieno risanamento, procedere al controllo, a campione, degli animali eliminatori di brucelle per identificare con esattezza gli allevamenti che, pur non rispondendo positivamente ai test di SAL, SAR ed FDC, sono nei fatti da isolare e controllare con dovizia.
Domenico Fenizia
Allarme brucellosi, dopo Caserta anche Salerno.
Bufale e brucellosi, tiro mancino alle eccellenze locali!!!
Oggi mi è stata dedicata una pagina sul mensile “www.piusanita.it” . L’articolo parla della mia vicenda di direttore dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, e dell’abbattimento delle bufale in campania. Il testo completo è visionabile dal seguente link.
Testo:
L’ex direttore dell’istituto Zooprofilattico, Domenico Fenizia: «ogni piano proposto e’ stato un insuccesso, la mozzarella poco tutelata»
Riflettori mai spenti sulla Psyco-Brucellosi tanto da chiedersi: «É tutta una bufala la mozzarella campana»? All’epoca dei fatti, per garantire l’eradicazione della brucellosi (brucellosis buffalo) fu deciso l’abbattimento di cinquantamila capi risultati positivi ai test effettuati sul territorio altamente infettivo quale quello dell’Asl 2 di Caserta. Purtroppo, il ciclo di questo “orrore” non si è ancora
concluso, vista la grave situazione economica in cui oggi il settore versa: sono ben cento gli allevamenti in forte crisi. Inoltre, bisognerà effettivamente verificare quali sono, ad oggi i risultati di quest’opera di bonifica condotta dalle strutture sanitarie da circa 50 anni. «É l’ennesimo piano sanitario di risanamento della brucellosi del bufalo, successivo ad una serie di grossi insuccessi», dichiara Domenico Fenizia, ex direttore dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno, noto soprattutto per aver indicato strategie alternative per il risanamento degli allevamenti risultati positivi alla brucellosi. I principi del D.M., afferma il Fenizia, sono riferiti «alla profilassi della brucellosi bovina», che prevede l’individuazione dei capi sierologicamente positivi all’infezione ed il loro rapido abbattimento onde evitare il diffondersi del contagio in seguito alla permanenza degli stessi negli allevamenti. La suddetta ordinanza, si differenzia dalle precedenti solo per i maggiori rimborsi destinati agli allevatori, rimborso pari a 1.000 euro per capo abbattuto. Di fatto, il danno per gli allevatori è stato enorme se si considera il valore del capo abbattuto, stimato di circa 3.000 euro a cui aggiungere i danni relativi alla mancata produzione ed ovviamente al costo per ripopolare la filiera, precisando l’obbligo che gli allevatori hanno nel ripopolare le proprie aziende perché stabilito dalla norma comunitaria da cui derivano i fondi europei. Se ciò non dovesse avvenire, la CE costringerebbe lo Stato a recuperare i fondi concessi agli allevatori proprio come si è già verificato per le quote latte. «I danni per il comparto zootecnico sono stati enormi», sottolinea ancora Fenizia soprattutto per l’erronea impostazione del piano sanitario, da cui è nato un contenzioso scientifico poiché non si riconosce, a tutt’oggi la “specificità bufalina”, attestata più volte anche dallo stesso Cnr.
Con l’abbattimento del capo infetto, l’infezione si diffonde ancora più rapidamente perché si trova di fronte una popolazione che, abbattimenti dopo abbattimenti, perde la memoria immunitaria della brucella. Il rischio di reinfezione delle aziende, per così dire “risanate”, è ancora alto in quanto l’infezione può trasferirsi in circa venti giorni a tutti gli animali dell’allevamento. Anziché abbattere cinquantamila capi, senza neanche risparmiare quelli che presentavano una minima resistenza all’infezione, si sarebbero potuti vaccinare tutti i bufali, favorendo la selezione naturale degli animali genoresistenti garantendo così un sicuro e duraturo risanamento dalla brucellosi.